L’autonomia regionale differenziata: un progetto da bloccare

Il regionalismo differenziato o asimmetrico, previsto come possibilità con la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione (“possono essere attribuite”, recita l’art.116 della nostra Carta), è cosa diversa dalle Autonomie Speciali, i cui Statuti sono adottati con Legge Costituzionale: nel 1963 per il Friuli Venezia Giulia, dopo quindici anni di traversie, nel 1948 per Sardegna, Sicilia (già autonoma dal 1946), Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige (nelle Province autonome di Trento e Bolzano).
Fra gli elementi di diversità, vi sono
– Il procedimento, attuato con Legge costituzionale per le Regioni ad autonomia speciale e con legge ordinaria per le Regioni differenziate,
– le ragioni che hanno portato all’istituzione delle specialità, e che in Friuli Venezia Giulia annoverano questioni geografiche, economiche, storiche, di autonomismo interno, il plurilinguismo e la multiculturalità, la vicenda martoriata del confine orientale, con annessi i tentativi tuttora in atto di riscrittura e di manipolazione politica di una storia difficile. Molte di queste ragioni esistono ancora, e se ne aggiungono altre legate alle migrazioni, in particolare dalla cosiddetta rotta balcanica.
La battaglia politica contro i contenuti, i modi e le ricadute, drammatiche per l’Italia, del progetto di Autonomia differenziata e del relativo ddl quadro, ed in particolare delle richieste avanzate da alcune Regioni, in particolare Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, viene condotta da tre anni dal Coordinamento per il ritiro di qualunque autonomia differenziata, per l’Unità della Repubblica e l’Uguaglianza dei Diritti. Questa battaglia non riguarda le condizioni di autonomia delle Regioni Speciali, stabilite per via costituzionale. Coinvolge però tutti i cittadini e le cittadine di qualsiasi regione italiana, che riescono a vedere la portata eversiva del progetto e la ricaduta in termini di diritti negati della cittadinanza più debole, ovunque si trovi a vivere.
L’autonomia differenziata è un progetto che, condotto a pieno sviluppo col leghismo e fatto proprio dal centro-destra, viene portato a realizzazione, con la legge costituzionale 3 del 2001 (riforma del Titolo V), da quel centrosinistra che ama rincorrere le politiche del centro-destra. Al Governo sedeva allora Giuliano Amato. Nel 2018, sempre a fine Legislatura, e sempre per ragioni di opportunità politica, è stato il Governo di Paolo Gentiloni ad avviare l’implementazione di quanto alcune Regioni avevano cominciato a chiedere per sé. Per sé, le parole chiave, significa “forme e condizioni particolari di autonomia” (legislativa, amministrativa, finanziaria) concernenti una serie di possibili 23 materie, tra le quali tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Sono temi fondamentali, in cui si giocano i diritti sociali di tutti i cittadini e le cittadine, che ne dovrebbero godere in modo uniforme in tutto il Paese. Abbiamo sotto gli occhi il fallimento del Regionalismo riguardo alla salute. Nel dramma della pandemia si sono visti gli effetti dei tagli regionali e della razionalizzazione, con una sanità consegnata al privato. Abbiamo assistito alla conflittualità Stato Regioni, con lo Stato ad esempio impegnato a chiudere e le Regioni ad aprire, ognun per sé e secondo il proprio tornaconto elettoralistico. Poca credibilità, di fronte ai dati oggettivi, ha la Ministra Gelmini quando di recente afferma che questi non sono gli effetti del regionalismo ma del fatto che non è stato portato a compimento.
Cosa accadrebbe se questo avvenisse? Pensiamo al lavoro. Sparirebbero i contratti nazionali, atti a garantire una contrattualità forte e l’uguaglianza delle tutele e dei diritti. La drammaticità, alla quale quotidianamente assistiamo, del ricatto salute-lavoro, unita al lungo elenco delle persone morte di lavoro (degli operai nelle cisterne, delle operaie schiacciate e stritolate, dei muratori che precipitano dalle altezze a cui lavorano), riguardano la contrazione delle tutele che, già in atto, peggiorerebbe ulteriormente: la sicurezza sarebbe ancora più ridotta e così le buste paga in una concorrenza verso il basso.
Pensiamo poi alla scuola, il luogo dove si formano le coscienze, assieme alla consapevolezza dei diritti e dei doveri che la Costituzione sancisce, e all’idea di vivere in un Paese unito, e nutrito di condivisione e solidarietà, dove ogni singola personalità dovrebbe avere l’opportunità di emergere e svilupparsi liberamente. E pensiamo, nella Scuola, all’insegnamento della Storia, della Letteratura, della Scienza: si racconterebbe la storia che quella Regione vuole, assecondando quelle mistificazioni che alcuni personaggi delle Istituzioni continuano qui in Friuli Venezia Giulia a propagandare in ogni occasione utile. La Scienza perderebbe quei caratteri di libertà e di ribellione che possiede. Verrebbe depotenziato lo stesso art.33 della Costituzione in cui si afferma che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Il senso della “Scuola della Repubblica” verrebbe stravolto. Ogni Regione sceglierebbe i propri e le proprie insegnanti e i testi. Abbiamo già assistito qui in Friuli Venezia Giulia a tentativi di far passare l’idea dell’assunzione regionale del personale della Scuola, e assistiamo tuttora a proclami sulla scuola regionalizzata. Mettere le mani sulla scuola con intenti ideologici, e anche discriminativi all’interno della regione stessa, significa mettere le mani sui destini delle giovani generazioni, già ampiamente penalizzate dal furto di futuro che il mondo del liberismo globalizzato ha commesso nei loro confronti.
Il piano del regionalismo differenziato ha attivato una rincorsa competitiva dagli esiti potenzialmente dirompenti fra tutte le Regioni, comprese quelle Speciali: il Sud verrà privato di risorse, diritti, progetti, e la ricaduta investirà anche il Nord assieme ad una conflittualità permanente. La vicina e confinante ex Yugoslavia è monito permanente sulla disgregazione a catena generata dal desiderio delle Regioni più ricche a tenersi i denari per sé.
Il Governo Draghi, per voce dei propri Ministri, ritiene prioritario attuare il regionalismo differenziato, richiesto inizialmente da tre regioni, a cui varie altre si sono aggiunte. Per due volte i governi precedenti hanno tentato di inserire il ddl Quadro di attuazione di questo progetto come collegato al DEF e per due volte è stato stralciato. Anche questo Governo lo sta facendo per il 2021 ed è vitale impedirlo. Cittadini e cittadine della Regione Emilia Romagna stanno raccogliendo firme affinché la loro Regione si ritiri da questa corsa, che è stata tra le prime a intraprendere. Il Coordinamento per il ritiro di qualunque autonomia differenziata, assieme ad altre Associazioni e Comitati che lavorano per la difesa della Costituzione del 1948, si oppone a questa deriva chiamando Partiti, Associazioni, Istituzioni, Enti Locali, anche qui in FVG, alla discussione, diffusione ed informazione sulla reale portata del progetto di Autonomia differenziata, destabilizzante sia per il godimento uniforme dei diritti sociali ed universali di ogni cittadino e cittadina, sia per la democrazia stessa in Italia e per la Costituzione nata a difenderla.

 

Dianella Pez

Sinistra Italiana FVG, Comitato di Udine per il ritiro di qualunque autonomia differenziata, Libertà e Giustizia Udine