Spese militari in aumento. Si comprano nuovi assetti a “go go” ma senza una discussione seria sul piano nazionale di difesa

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La pace non può essere solo assenza di guerra. Considerazione banale, come è banalmente sbagliato dire che chiunque è contro la guerra, perché fosse davvero così, il cannone non tuonerebbe più da tempo. Invece, come ci raccontano i tanti teatri dove violenza e sopraffazione sono all’ordine del giorno, la parola alle armi non ha mai smesso di essere elemento presente della storia umana. L’ultimo esempio che crea in Italia maggior impressione, perché ci tocca da vicino e non solo geograficamente è il conflitto fra Russia e Ucraina. Purtroppo, l’inaccettabile aggressione russa all’Ucraina, ha avuto come conseguenza diretta anche il rafforzamento delle tematiche relative alla difesa, legate alla proliferazione degli armamenti, visti come strumento indispensabile di trattativa diplomatica secondo una logica semplice quanto devastante. Non ci può essere tregua prima che la situazione sul “campo” non sia quantomeno di equilibrio. Ovviamente si può leggere la questione da molti punti di vista e fare tante dietrologie più o meno complottistiche, ma il risultato sul piano geopolitico è stato il rafforzamento di quella alleanza militare Nato che prima della vicenda Ucraina era boccheggiante, avendo fino ad un anno fa, perso gran parte della propria funzione per assenza del “nemico”. A colmare questo “vuoto” ci ha pensato Vladimir Putin che facendo leva su una indotta percezione di accerchiamento ha pensato bene di rispolverare le aspirazioni “imperiali” della Russia zarista pensando di “vincer facile”. Ecco così che si è passati dallo sgonfiato pericolo sovietico al ben più reale pericolo russo-putiniano. Da questo prende forza non solo la permanenza dell’alleanza atlantica in Europa ma il suo allargamento a paesi fino a pochi anni fa non schierati. Un capolavoro putiniano. Ma con la situazione che si è determinata, ha preso anche vigore il malefico mercato delle armi nel quale, il nostro paese, non è certo estraneo. Così era fattuale che lievitasse la lista della spesa che le Forze armate italiane stanno avanzando per garantire la difesa alla luce della nuova situazione internazionale. Complice ovviamente la potente lobby finanziaria che alimenta il business di armi, armamenti e affini. Si può pensare come la si vuole, ma è ovvio, che la risposta a questa deriva non può essere quella ideologica del pacifismo di maniera, soprattutto di quello poco credibile dei nuovi cantori della non violenza per opportunismo. Il pacifismo, quello vero è invece rispettabilissima pratica, nobile e faticosa, condivisibile se non fosse che allo stato è una meravigliosa utopia alla qual tendere e magari arrivare. Ma bisogna essere realisti, non si può praticare sulla pelle degli aggrediti e soprattutto non può essere brandita come un clava da chi, fino a ieri, non praticava e non teorizzava, manco lontanamente, la non violenza, tanto da far sospettare, che più che nobili intenti, ci siano quelli ideologici di una anti-americanismo a priori senza reali sbocchi pratici.

Ovviamente perseguire una uscita dal “capitalismo” soprattutto da quello “turbo” che tutto piega al dio denaro è pratica condivisibile, ma la si deve perseguire con la lotta costante chiedendo norme e leggi giuste e non certo usando teoriche scorciatoie che rischiano di buttare il “bambino” (la democrazia) con l’acqua sporca (il capitalismo). Fatta questa premessa, discutere delle richieste di nuovi armamenti da parte delle forze armate è assolutamente legittimo, anzi dovuto, perché, prima di finanziare l’acquisto di nuovi assetti militari, bisognerebbe avere ben chiaro quale è il piano di difesa nazionale. Fin qui è apparso piegato più alle logiche Nato che a quelle relative alle necessità italiane ed europee che, oggi con la destra al potere, rischia di diventare acritica accettazione dei desiderata dell’industria degli armamenti. In realtà manca un vero piano nazionale di difesa che chiarisca il ruolo delle forze armate così come vorrebbe la Costituzione. Questo è lavoro complesso da realizzare e non lo si fa brandendo l’articolo 11 come un mantra. Ricordiamo cosa dice questo articolo spesso citato come fosse un dogma a se e non inserito in un ragionamento più complesso che i padri costituenti avevano bene in mente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. In realtà andrebbe fatta una profonda riflessione su queste affermazione e più in generale sul tema, senza scivolare in semplificazioni che portano alla spaccatura in due sole visioni contrapposte: da una parte quelli che credono che il sostegno mediante invio di armi all’Ucraina sia incostituzionale, e dall’altra quelli che al contrario invocano uno spazio di legittimità della guerra, perché il ripudio avrebbe ad oggetto solo la guerra di aggressione verso altri e non di legittima difesa. Ed in effetti fermandosi solo al termine “ripudia” la guerra, non sarebbe stato necessario avere un esercito, invece è chiaro che i Costituenti che la guerra e suoi orrori, l’avevano vissuta sulla pelle, non erano utopisti. Non mancavano di realismo e sapevano che se esiste la possibilità che qualcuno aggredisca allora la possibilità di difendersi diventa necessaria. Ma il discorso è complesso.

Bisogna però dire che oggi, una parte degli armamenti richiesti da generali e ammiragli, come caccia bombardieri e portaerei, non sono assetti di “difesa” ma “multiruolo” con una notevole e propensione all’offesa. Ma ovviamente quando si parla di strategie militari si entra in un terreno “minato”, scusando la facile ironia. Ovviamente bisogna anche considerare che i trattati internazionali, quando firmati, si devono rispettare e che quindi si può ululare alla luna quanto si vuole, quando si è minoranza nel paese. Veniamo quindi nel dettaglio quali sono le e richieste delle Forze Armate italiane e lo facciamo utilizzando i dati messi a disposizione dall’Osservatorio Mil€x. L’osservatorio MIL€X è stato fondato nel 2016 nell’ambito delle attività della Rete Italiana per il Disarmo poi divenuta Rete Italiana Pace e Disarmo. Fin dall’inizio delle attività dell’Osservatorio Mil€x sono state attivate iniziative di collaborazione, sia in Italia che all’estero, con esperti del settore, istituzioni accademiche, centri di ricerca, associazioni attive sulla tematica delle spese militari, organizzazioni non governative e organizzazioni internazionali. Quindi i dati forniti sono decisamente credibili.

25 miliardi “straordinari”

Sarà di almeno 25 miliardi di euro il costo degli investimenti straordinari in nuovi armamenti se il ministro della Difesa Guido Crosetto secondo cui, se così non fosse “noi saremo i ‘Pierini’ della Nato”, gli unici a non raggiungere l’obiettivo del 2% quando altri parlano già di 3% o 4%” di Pil nella Difesa. Così il governo Meloni finirà per recepire le proposte che i Capi di Stato di maggiore di Esercito, Marina e Aeronautica hanno avanzato nelle loro audizioni programmatiche alle Commissioni Difesa di Camera e Senato. Vediamo nel dettaglio.

Esercito: 4,2 miliardi per duecento carri armati in più
Come testimonia l’ultimo Documento programmatico pluriennale della Difesa, l’Esercito, in attesa dei nuovi carri armati dei programmi europei Aics (Armored Infantry Combat System, per i carri leggeri) e Mgcs (Main Ground Combat System, per i carri pesanti) – già finanziati con oltre 3,7 miliardi di euro su una previsione di spesa complessiva di 6 miliardi – aveva deciso di investire oltre mezzo miliardo sull’ammodernamento di 135 Dardo e 159 M113 – decine dei quali sono poi stati inviati in Ucraina – e quasi un miliardo di euro (980 milioni per la precisione) sull’ammodernamento di 125 carri Ariete.
Ora il Capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Pietro Serino, avanza la richiesta urgente di acquistare anche almeno 200 carri pronti all’uso: un centinaio di carri svedesi Cv90 (che costano almeno 12 milioni l’uno ) e altrettanti carri tedeschi Leopard 2 (da almeno 30 milioni l’uno), per una spesa totale di almeno 4,2 miliardi di euro.

Marina: 12 miliardi per terza portaerei e raddoppio flotta
La Marina il prossimo anno vedrà entrare in servizio la seconda nave portaerei che andrà ad affiancare la Cavour. Nonostante sia anche nave da sbarco mezzi anfibi dotata di bacino allagabile (per questo ha un dislocamento maggiore rispetto alla Cavour), la Trieste potrà imbarcare un numero di F-35B analogo a quello della prima portaerei (una dozzina di velivoli, cioè un gruppo aereo ciascuna) tra ponte e hangar sottoponte, entrambi un po’ più grandi rispetto alla Cavour (ponte lungo 230 metri e ampio 7.400 mq contro 220 metri e i 6.800 mq; hangar da 2.600 mq contro 2.500 mq) garantendo la loro piena operatività grazie alla dotazione dei sistemi di integrazione (Alis/Odin e Jpals).
Alla luce di questo, necessiterebbe qualche chiarimento la richiesta avanzata dal Capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Enrico Credendino, di una “seconda” portaerei (dal costo di almeno 1,5 miliardi) che sarebbe in realtà la terza e che necessiterebbe anche di un terzo gruppo aereo di F-35B (per altri 3,2 miliardi – esigenza che trova conferma nelle richieste avanzate dal Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, generale Luca Goretti).
Oltre alla terza portaerei, l’ammiraglio Credendino ha fornito una lunga lista di acquisizioni urgenti per almeno altri 7,4 miliardi: altri due sottomarini U212 Nfs (da 665 milioni l’uno) oltre ai quattro già previsti, almeno altre tre fregate antisommergibile Fremm (da 600 milioni l’una) oltre le quattro già in linea, altri due cacciatorpediniere antiaerei Ddx (da 1.350 milioni l’una) oltre alle due già previste, un’altra nave rifornitrice Lss (da 410 milioni) per affiancare quella appena entrata in linea e, infine, otto aerei da pattugliamento antisommergibili (da 150 milioni l’uno se si opta per l’italiano C27 o il giapponese P-1, molto di più si scegliesse l’americano P-8). Il tutto per una spesa complessiva che supera i 12 miliardi di euro.

Aeronautica: 8,7 miliardi per altri F35 e Typhoon
L’Aeronautica sta già investendo nel programma internazionale (con Regno Unito, Svezia e Giappone) per il cacciabombardiere invisibile di sesta generazione Tempest: quasi 3,8 miliardi già stanziati per la fase di ricerca e sviluppo. Entrerà in linea tra una decina d’anni. Nel frattempo – oltre ad usare i vecchi Tornado e Amx – entreranno in servizio i 75 F-35 previsti per l’Aeronautica e si aggiorneranno i 94 Typhoon operativi spendendo 4,2 miliardi. Non abbastanza secondo il Capo di Stato maggiore dell’arma azzurra, generale Luca Goretti, che chiede di ripristinare il requisito originario di entrambi i programmi, JSF ed Eurofighter, acquisendo 41 F-35 in più per 8,3 miliardi (19 in versione A da 190 milioni l’uno e 22 in versione B – compresi i 15 per la Marina – da 215 milioni secondo i costi della fase 2b forniti dalla Difesa) e 25 Typhoon in più per 3,6 miliardi (da 145 milioni l’uno secondo i costi delle ultime acquisizioni tedesche). Costo totale per l’Aeronautica (escludendo i 3,2 miliardi per gli F-35B della Marina): 8,7 miliardi di euro.